Intervista a Cesare Saccani, presidente di DILIGENTIA ETS

di Mimosa Martini

 

A livello internazionale e, ormai, anche nazionale, si sta cercando di cambiare approccio nei confronti del nostro stile di vita, della scelta dei prodotti che consumiamo e di chi li realizza. Cosa sta avvenendo esattamente e qual è lo scenario che oggi ci si presenta davanti?
Desidero, prima di tutto, sottolineare un fatto di portata storica: agli inizi di Febbraio 2022 l’Italia ha introdotto la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi (inclusa la tutela degli animali) tra i principi della nostra Costituzione. Inoltre, è stato introdotto l’obbligo per le imprese (art.41) di svolgere la propria attività economica senza pregiudicare l’utilità sociale, la salute e l’ambiente. Questo cambiamento istituzionale è pienamente in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dalle Nazioni Unite e da linee guida di organizzazioni internazionali (OCSE).
In questi ultimi anni si è accentuata la spinta sulle imprese, proveniente dai loro stakeholder, a fornire informazioni credibili e affidabili sul livello di esposizione ai rischi non-finanziari, oggi più conosciuti come rischi ESG (Environmental, Social, Governance). Non bisogna dimenticare, poi, che le giovani generazioni di consumatori e clienti oggi acquistano in modo sempre più consapevole e attento ai valori della responsabilità e della sostenibilità. Il mondo della finanza (Investitori, Banche, Assicurazioni), inoltre, chiede una crescente attenzione al livello di esposizione ai rischi non-finanziari. Infine, il quadro economico mostra le tante filiere di fornitura a rischio di eventi che possono compromettere fortemente la reputazione delle imprese e quindi la fiducia da parte di investitori e clienti.
Alla base di questi sviluppi, vi è l’evoluzione del quadro normativo, in particolare comunitario, che introduce nuovi obblighi relativi al Corporate Sustainability Reporting certificato da terza parte indipendente, all’obbligo di Due Diligence sui fornitori su tutti i rischi non finanziari.
Diligentia agisce esattamente sui trend in atto a livello internazionale, per accelerare l’implementazione di questi nuovi approcci all’interno del mondo imprenditoriale.

Presidente, con quale intento e quali obiettivi è nata l’idea di Diligentia?
L’Associazione è nata con l’obiettivo di promuovere la responsabilità d’impresa e lo sviluppo sostenibile e di distinguere e valorizzare quelle azioni in grado di ottenere risultati di eccellenza su tutti gli aspetti ESG: governance, sociale, sicurezza, ambiente ed etica di business.
L’Associazione si distingue da altre organizzazioni che agiscono su queste tematiche perché si rivolge esclusivamente al mondo delle imprese e dei professionisti in quanto principali attori agenti del cambiamento. Diligentia è poi una Associazione che opera su scala internazionale, perché ormai le filiere di fornitura sono sempre più allungate. Promuove criteri, metodi di prova e processi di valutazione conformi a linee guida e norme internazionali, garantendo risultati misurabili, confrontabili e trasparenti.
Infine, gestisce programmi di valutazione della conformità per riconoscere le migliori imprese e professionisti in base a criteri trasparenti e rigorosi e promuove le imprese virtuose su scala internazionale.
Su questi cardini l’Associazione intende contrastare il cosiddetto “greenwashing” promuovendo la conformità alle norme e sistemi di controllo più affidabili e rigorosi sui soggetti che rilasciano marchi e certificazioni relative agli aspetti della responsabilità e della sostenibilità.

Da cosa deriva la scelta del nome?
Il termine appartiene alla lingua latina e significa “cura”, “attenzione”. Questo termine è entrato nella locuzione “diligentia quam suis” entrata nel linguaggio del diritto romano e tuttora attuale. In una famosa disputa forense tra Nerva e Proculo (1° secolo dopo cristo) il primo sosteneva che un bene dato in custodia a una persona deve essere trattato con la stessa cura e diligenza che darebbe a uno di sua proprietà: quanto minore è la diligenza, tanto maggiore la colpa. Se ci pensiamo questo termine è una metafora perfetta per la missione della nostra associazione: dedicare a ciò che abbiamo ricevuto in “deposito” da altri (l’ambiente, la sicurezza di una persona, i diritti dell’uomo, etc) la stessa attenzione e cura che dedicheremmo se fossero nostri per poi trasferirli intatti alle future generazioni.

Come intende rispondere l’Associazione ai cambiamenti in atto, nel nostro come in altri Paesi, e a chi si rivolge?
Diligentia si rivolge prevalentemente a imprese e professionisti in Italia e nel mondo che condividono l’urgenza di modificare il paradigma dello sviluppo economico e intendono agire con fatti concreti (senza limitarsi ad operazioni puramente di marketing e di greenwashing).
In primis, Diligentia promuove e gestisce programmi e schemi di valutazione conformi a principi, linee guida e norme internazionalmente riconosciute e fondati sul principio dell’accreditamento di organismi di terza parte indipendente.
Infine, Diligentia promuove e gestisce sistemi di credenziali per certificare le competenze di consulenti, assessor ed esperti tecnici nel campo della responsabilità sociale e della valutazione dei rischi ESG.

Esistono dei settori che, più di altri, hanno bisogno di cambiare la propria visione di business?
In generale tutti i settori di tipo “labour intensive” e con filiere di fornitura allungate e segmentate su scala internazionale (Es.: tessile e calzatura, materie prime, prodotti alimentari) presentano problemi e rischi di natura sociale e ambientale, soprattutto nei casi in cui le produzioni siano ricollocate in paesi in via di sviluppo che hanno maggiore urgenza di crescita economica sacrificando così gli aspetti sociali, di sicurezza e ambientali.
Ma non possiamo dimenticare che, nel nostro stesso Paese, muoiono in media due persone al giorno per incidenti sul lavoro, lo sfruttamento e i casi di discriminazione sono ampiamente diffusi. Ancora troppe imprese gestiscono con disinvoltura rifiuti pericolosi che procurano danni all’ambiente oppure non dedicano attenzione alle emissioni di GHG che hanno effetti sul cambiamento climatico.
Infine, ricordiamo che molte organizzazioni ricorrono a dichiarazioni e certificazioni etiche di prodotto non verificate e non soggette a controlli esterni (greenwashing). Questi problemi si verificano in tutti i settori, al nord come al sud, nelle grandi come le medie e piccole imprese.
Avvertiamo l’urgenza di fare qualcosa di concreto.

Quali sono, secondo lei, le 5 azioni che un’impresa dovrebbe impostare subito, diciamo entro l’anno?
Le azioni che ogni azienda dovrebbe implementare sono poche e sicuramente fattibili. Le prime 5, quelle imprescindibili sono:
1) Adottare approcci sempre più sistematici ed efficaci per ascoltare le esigenze degli Stakeholders
2) Verificare che ci sia allineamento e integrazione tra Stakeholder engagement, analisi di materialità, risk management e sistemi di controllo
3) Implementare un sistema di identificazione e valutazione dei rischi che copra tutti gli aspetti non finanziari (governance, sociale, sicurezza, ambientale e di business ethics)
4) Implementare piani, dotati di risorse adeguate, per mitigare costantemente i rischi su tutti gli aspetti non finanziari e adottare politiche e approcci basati su Due Diligence lungo le filiere di fornitura.
5) Accelerare l’adozione di etichette etiche (rispetto a programmi accreditati) e la predisposizione di Corporate Sustainability Reporting conformi a direttive europee per non farsi trovare impreparati nel momento in cui entreranno in vigore obblighi di legge